Il borbottio della nostra Moto Guzzi V7 Special del 1970 ci accompagna mentre sulla SP 89 costeggiamo il monte Cetona, verde di faggi e castagni. Proseguiamo tranquillamente ad una manciata di giri del motore; quando la strada sale, scaliamo marcia ed affrontiamo divertenti tornantini in successione. La nostra andatura è tranquilla ma il raggio delle curve è spesso molto stretto ed allora ci regaliamo pieghe generose una dopo l’altra; con un occhio alla strada ed uno al paesaggio, finalmente scolliniamo.



Marcia lunga e giù, la nostra danza continua, curva dopo curva, in scioltezza, rasentando le prode erbose scendiamo molto di quota.

Ora rallentiamo per dare un po’ di respiro ai freni (i famosi freni “a preghiera” della V7) per prepararli decentemente al prossimo impiego; è vero la V7 non frena, ma che importa, da bravi guzzisti noi freniamo raramente, di norma deceleriamo e scaliamo marce. Non abbiamo alcuna fretta e la nostra attenzione è rapita dall’arrivo di altri protagonisti importanti e maestosi: la Val d’Orcia ed il MONTE AMIATA che svetta in lontananza con i suoi 1738 metri. Rallentiamo ancora e, quasi senza rendercene conto ci fermiamo sul lato della strada; ci fermiamo per ascoltare il silenzio circostante, per annusare il profumo dell’aria; raccogliamo e mangiamo due more, qualche meletta selvatica e un piccolo grappolo di uva fragola superstite; sentiamo una leggera brezza tra i capelli, liberati per un po’ dal nostro casco.


 
La V7 special è al nostro fianco, appoggiata sul suo cavalletto laterale, in pacata attesa emana un tiepido calore. Più tardi riprendiamo la nostra marcia, abbiamo indosso una piacevole sensazione di benessere e poi siamo fortunati perché abbiamo stanziato qualche giorno per godere appieno il nostro viaggio. Pernottiamo a Sarteano ed il giorno successivo percorriamo verso ovest la SP 126 fino ad un bivio che, sulla nostra destra, indica Castiglioncello del Trinoro. Spettacolo nello spettacolo, l’asfalto d’incanto finisce e cede il posto ad una graniglia bianca; è incredibile quanto questa strada si sposi bene con l’ambiente circostante; non lo aggredisce ma ne fa parte integrante, è solo un mutare di colori.

L’intervento umano è ben tollerato perché da sempre l’uomo si è mosso su queste grezze e generose via di comunicazione. E’ il ritorno alle origini. Alla nostra motocicletta non capita spesso di sentire lo scricchiolio del brecciolino sotto le ruote ma nei decenni passati, per le sue antenate, era pane quotidiano; appena acquistate le rudi motociclette di allora venivano subito messe diligentemente al loro lavoro e accompagnavano fedelmente uomini, donne, bambini e trasportavano suppellettili varie in giro per le strade “sterrate” dei paesi e delle campagne di tutta l’Italia contadina. Le motociclette assumevano presto quel colore spesso indefinibile che la polvere e il fango conferivano loro, e che rimaneva poi appiccicato per sempre.

E’ vero, siamo venuti qui per rivivere anche queste sensazioni, decine e decine di chilometri di strade interpoderali ci attendono per condurci a quel casale, a quell’eremo, a quel fontanile, a quella torretta, a quel podere. Dopo i primi chilometri di strada “bianca” prendiamo confidenza e la nostra guida diventa sciolta e divertente. A dispetto del suo peso non trascurabile, con parabrezza, borse laterali e benzina arriva a oltre Kg. 260, la nostra Moto Guzzi V7 special sembra fatta apposta per affrontare, come un novello trattorino, anche quelle magnifiche strade: niente catena da lubrificare, niente freni potenti qui del tutto inutili, niente componenti fragili a rischio in caso di una malaugurata scivolata; solo baricentro basso, pochi giri del motore e tanta, tanta affidabilità (quello che non c’è non si rompe, diceva il grande Carlo Guzzi). 

Ci sentiamo lontani dalla civiltà ma siamo ugualmente tranquilli  perché sappiamo che la nostra V7 non ci lascerà mai a piedi; con un cacciavite, pinze e se serve un pezzo di fil di ferro, torneremo sicuramente a casa. Lievi scarrocciamenti della motocicletta non ci preoccupano più ed un po’ di genuina polvere bianca, niente a che vedere con le “polveri sottili” delle nostre città, non ci disturba affatto. Talvolta la strada diventa un po’ scoscesa e dissestata a seguito di qualche recente pioggia, ed allora tratteniamo la nostra motocicletta nella discesa con il potente freno motore;  qualche emozione ce la regala anche la salita che affrontiamo con adeguata velocità per superare la pendenza, aprendo un po’ di più il gas.

Gli incontri sono rari ma talvolta capita di incrociare trattori che trasportano tronchi d’albero o balle di fieno e allora impolverati e scoloriti, salutiamo cordialmente gli indigeni toscani e ci sentiamo anche noi parte integrante dei luoghi. Tanto si dovrebbe ancora dire della Val d’Orcia, ma abbiamo per motivi di opportunità e di spazio, tralasciato intenzionalmente di menzionare, ad esempio, tutte le bellezze architettoniche di splendidi siti storici quali San Quirico, Pienza, Montepulciano, Bagno Vignoni, Sarteano. Così come abbiamo voluto sorvolare completamente sulla genuina bontà della cucina locale, con la mai scomparsa “fiorentina” e sulla sagacia ed ospitalità della gente toscana.

Questo scritto ha voluto essere semplicemente una piccola testimonianza di un aspetto un po’ particolare di un viaggio nel passato e nella natura, un viaggio che invitiamo tutti i nostri amici  ad effettuare a cavallo delle loro affidabili ed instancabili motociclette, nel rispetto della gente e dei luoghi.


Piergiorgio Bonanni